Giustizia e Pace
La Giustizia, raffigurata tradizionalmente con la spada e la bilancia, è riconosciuta come uno degli strumenti nazionali, sovranazionali o internazionali di “pacificazione sociale”, ma a ben vedere la sua relazione con la pace risulta problematica, anche in considerazione degli accostamenti semantici che di volta in volta mutano il significato del termine “pace” (ordine, sicurezza, verità, bene comune, convivenza, rispetto).
Il dibattito “Pace versus Giustizia” è stato ed è tuttora un tema centrale dell’analisi delle politiche della giustizia penale internazionale e si articola attorno alla prevalenza che la prima o la seconda finalità deve ricoprire nelle preoccupazioni politico-istituzionali.
Di fronte a società profondamente lacerate da conflitti armati, violazioni di massa di diritti umani, genocidi e crimini di Stato, deve rimanere prevalente l’interesse a ricostruire una convivenza pacifica o il riconoscimento di responsabilità penali?
La storia della Transitional Justice, vale a dire dei percorsi e delle modalità istituzionali attraverso cui una società fa i conti col proprio recente passato, può essere letta come una serie di tentativi di trovare una soluzione contingente a questo dilemma uscendo dalla logica dell’amnistia senza condizioni o della punizione simbolica.
Le “commissioni sulla verità”, le forme ibride di giustizia e i progetti riparativi si affiancano sempre più ai tribunali penali speciali o internazionali su due presupposti fondamentali: che “pace” non sia semplice cessazione di una violenza immediata ma necessiti della costruzione di un futuro fondato sul riconoscimento della memoria/delle memorie e sulla costruzione di una società più giusta; che “giustizia” non sia solo punire in senso retributivo ma ricomporre conflitti e costruire forme di responsabilità individuali e collettive verso gli altri e rivolte al futuro.
Anche rispetto al “fare giustizia in tempo di pace” si è innescata da alcuni decenni una riflessione che, a partire dai limiti e dalle lacune della giustizia convenzionale, ha proposto di riconsiderare le finalità e le modalità di lavoro delle istituzioni attorno a concetti quali la riparazione, la partecipazione attiva, la mediazione dei conflitti; tenendo fermi i principi dello stato di diritto, le esperienze che si ispirano a questa nuova concezione della giustizia consentono di uscire dalla logica della punizione retributiva e di affermare, proprio laddove si è creata una frattura relazionale e sociale con la violazione di una norma penale, la possibilità di una convivenza attraverso l’attivazione di forme di responsabilità relazionali.
Queste novità nel campo della giustizia internazionale e nazionale sembrano cambiare radicalmente i termini tradizionali della relazione tra giustizia e pace – per cui la prima “pacifica con la forza” più che promuovere pace sociale e la seconda è l’esito di una imposizione più che di una condivisione.
Nell’ambito dei peace studies occorre dedicare attenzione a queste esperienze a livello nazionale e internazionale, alle trasformazioni istituzionali che comportano, anche in termini di tensioni e forzature, e ai mutamente culturali che sono a esse sottesi, in particolare per le loro implicazioni sul piano della convivenza civile.